Arte e Cultura

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Comunità dedicata alle notizie sull'arte e la cultura

Anfora con rami di ulivo simbolo della cultura mediterranea

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Una mano di 2000 anni fa (archeology.dalatcamping.net)
submitted 3 weeks ago by [email protected] to c/[email protected]
 
 

Ho scoperto questa bellissimo reperto storico ritrovato nell'antica città di Cherchell, in Algeria.

È l'impronta di una mano umana risalente a oltre due millenni fa.

Traduzione di una parte dell'articolo Uncovering the Mysteries of Time: The 2,000-Year-Old Handprint in Cherchell, Algeria

È stato durante uno scavo di routine nella storica città di Cherchell, situata lungo la costa algerina, che gli archeologi si sono imbattuti in una scoperta davvero notevole. Tra gli strati di antiche rovine, hanno scoperto un mattone romano che si è subito distinto dagli altri: sulla sua superficie era incisa l'impronta inconfondibile di una mano umana.

L'impronta della mano, che sembra essere stata fatta da un uomo romano di grandi dimensioni, era chiaramente visibile, con le singole dita e persino la struttura della pelle del palmo chiaramente distinguibili. Era come se l'operaio che aveva posato questo mattone avesse premuto la mano nell'argilla umida, lasciando dietro di sé una traccia tangibile della sua presenza che le generazioni future potranno scoprire.

La città di Cherchell, conosciuta nell'antichità come Caesarea Mauretaniae, era un vivace insediamento romano che ha avuto un ruolo significativo nella storia del Nord Africa. Fondata nel III secolo a.C., fu la capitale del regno berbero di Mauretania e successivamente divenne un'importante colonia romana, attirando coloni da tutto l'impero.

Durante l'epoca romana, Cherchell era un centro di attività commerciali e culturali, con un'architettura imponente, mercati vivaci e una popolazione variegata. La posizione strategica della città lungo la costa mediterranea la rese un porto commerciale di vitale importanza e divenne nota per la produzione di vari beni, tra cui ceramiche, oggetti in vetro e prodotti agricoli.

La scoperta del mattone con impronta a mano offre una finestra unica sulla vita quotidiana degli individui che abitavano questa antica città. Offre uno sguardo raro sul funzionamento dell'industria edilizia romana e sulle persone che erano responsabili di plasmare l'ambiente costruito di Cherchell.

Gli archeologi e gli storici hanno studiato il mattone con l'impronta della mano e sono riusciti a trarre preziose indicazioni sull'individuo che ha lasciato questa straordinaria impronta. Attraverso un attento esame delle impronte digitali e della consistenza della pelle, i ricercatori hanno stabilito che l'impronta della mano è stata probabilmente realizzata da un uomo adulto e di grandi dimensioni, potenzialmente un operaio specializzato o un artigiano coinvolto nella costruzione o nella produzione di mattoni in epoca romana.

Il livello di dettaglio conservato nell'impronta della mano è davvero notevole e consente ai ricercatori di immaginare l'individuo che ha premuto la mano nell'argilla umida tanto tempo fa. Possono immaginare i calli e le linee del suo palmo, la forma e la lunghezza delle sue dita e persino i modelli unici delle sue impronte digitali, tutti elementi che forniscono indizi sulla sua identità e sul lavoro che svolgeva.

Inoltre, la posizione dell'impronta della mano, che si trova sulla superficie del mattone, suggerisce che l'individuo che l'ha realizzata era probabilmente coinvolto nelle fasi finali del processo di fabbricazione del mattone, quando l'argilla era ancora malleabile e pronta per essere cotta nel forno. Ciò fornisce informazioni preziose sulle tecniche di produzione e sulle pratiche di lavoro impiegate dai produttori di mattoni romani in questo periodo.

È possibile vedere l'immagine ad alta risoluzione nell'articolo e anche in questo post su Twitter (Nitter)

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Il libro è visualizzabile digitalmente a questo indirizzo.

Da Geopop

Uno dei più celebri testi non decifrati è il codice di Voynich, un manoscritto del al XV secolo e oggi conservato a Yale, del quale ignoriamo la lingua, il contenuto, l'autore e il significato delle immagini. Cosa potrebbe contenere questo libro misterioso?

Il manoscritto di Voynich è un codice di pergamena del Quattrocento, composto da 116 fogli riccamente illustrati, che nessuno ha mai decifrato. Deve il suo nome a Winfried Voynich, un antiquario e collezionista di origini polacche, che nel 1912 lo acquistò da un collegio di gesuiti in provincia di Roma. Oggi il manoscritto di Voynich si trova all’Università di Yale, negli Stati Uniti. Dal ritrovamento nel 1912 sono state avanzate numerose ipotesi sulla lingua e sul contenuto del manoscritto. È stato ipotizzato che potesse essere stato composto per ragioni di spionaggio, che fosse scritto in una lingua artificiale, che fosse un falso realizzato per ragioni economiche. Nessuna ipotesi è stata mai provata e il manoscritto è ancora incomprensibile.

Cos’è il codice di Voynich

Il manoscritto Voynich è un codice (cioè un libro manoscritto) illustrato, scritto su pergamena. Dalla datazione al radiocarbonio, sappiamo che risale al periodo 1404-1438. Il codice era originariamente composto da 116 fogli di dimensioni 16 x 22 cm, ma quattordici pagine sono andate perdute. Complessivamente, il manoscritto contiene circa 170.000 caratteri, equivalenti a un libro di 80-100 pagine di oggi.

Il manoscritto è privo del titolo e dell’indicazione dell’autore. La lingua e l’alfabeto con il quale è scritto sono sconosciuti e anche le numerose illustrazioni che corredano il testo sono in parte incomprensibili. Tuttavia, sulla base delle illustrazioni, il libro si può dividere in quattro sezioni:

  • Botanica (fogli 1-66), con immagini di piante sconosciute;
  • Astronomica o astrologica (fogli 67-73), con illustrazioni che sembrano raffigurare stelle;
  • Biologica (fogli 75-86), con immagini femminili, molte delle quali immerse in una sorta di vasche;
  • Farmacologica (fogli 87-116), con illustrazioni di ampolle e piccole piante, probabilmente usate per creare medicinali.

Oltre a questa suddivisione, ne sono state proposte anche altre, ma i tentativi di collegare le immagini al testo sono andati a vuoto.

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Da amante di Rapa Nui, dove spero di riuscire a tornarci prima o poi, trovo sempre affascinanti le teorie intorno a questa civilità.

Sempre più ricerche smentiscono l’ipotesi di un collasso causato dallo uno sviluppo eccessivo e non sostenibile. E descrivono invece una piccola popolazione, resiliente e sviluppatasi per oltre un millennio in equilibrio con un ambiente ostile

L’isola di Pasqua, o Rapa Nui come era conosciuta nella lingua dei nativi, affascina da sempre archeologi, scienziati e curiosi di tutto il mondo. Celebre per i suoi colossali Moai, i faccioni di pietra che costellano il panorama altrimenti brullo dell’isola, e per la storia, a tratti misteriosa, della loro costruzione e della civiltà che li ha realizzati. Attorno alle vicende della popolazione che abitava Rapa Nui, la “grande isola”, all’arrivo dei primi esploratori europei (avvenuto una domenica di Pasqua del 1722), in effetti, si è creata una sorta di faida scientifica. Da un lato c’è la narrazione, ancora dominante, di una società avanzata e prospera che si è autodistrutta ben prima di entrare in contatto con l’occidente “civilizzato”, i suoi vizi e le sue malattie (che hanno di certo contribuito a darle il colpo finale), collassando a causa dello sfruttamento sconsiderato delle poche risorse disponibili sull’isola. E dall’altro, un piccolo ma agguerrito gruppo di archeologi secondo cui, per quanto affascinante e istruttiva, la parabola dell’eco-suicidio degli abitanti di Rapa Nui non è altro che una favola.

Tra i più prolifici scienziati di questo secondo gruppo c’è sicuramente Carl Lipo, Antropologo della Binghamton University di New York, che da anni ormai pubblica studi che puntano a dimostrare che la popolazione dell’isola di Pasqua prima dell’arrivo degli europei fosse in assoluto equilibrio con il proprio ambiente. Nel suo ultimo lavoro, pubblicato di recente su Science Advances, Lipo e il suo team hanno utilizzato immagini satellitari e machine learning per ricostruire l’estensione delle infrastrutture agricole presenti sull’isola di Pasqua nel lontano passato, confermando – una volta di più – che con ogni probabilità erano perfettamente adattate per sostenere una piccola popolazione di qualche migliaio di abitanti, simile quindi per dimensioni a quella trovata dai primi europei all’arrivo sull’isola.

L’eco-suicidio degli abitanti di Rapa Nui

Il più prominente sostenitore del collasso ecologico dell’isola di Pasqua è probabilmente il noto scienziato e divulgatore Jared Diamond, che nel libro del 2005 “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” ha formulato la teoria dell’ecocidio della società Rapa Nui. La storia sarebbe questa: le circa 2.500 persone che abitavano l’isola all’arrivo dei primi esploratori europei non erano che i rimasugli, in continuo declino, di un popolo ben più avanzato e prospero, che in passato vantava una popolazione di circa 15mila abitanti. All’apice della sua civiltà il popolo Rapa Nui aveva iniziato ad erigere i giganteschi Moai che ancora costellano l’isola, divenendone ossessionato (per ragioni mai ancora chiarite del tutto) al punto da disboscare completamente la piccola isola per reperire il materiale necessario ad erigere e trasportare le statue.

Tra le prove citate da Diamonds ci sono ovviamente il grande numero di Muai presenti sull’isola, che lasciano immaginare la presenza di una grande forza lavoro, e analisi paleoarcheologiche che dimostrano come all’arrivo dei primi colonizzatori provenienti dalla Polinesia (tra il 300 e il 1.200 d.C.) l’isola ospitasse diverse specie di alberi ad alto fusto e almeno sei di uccelli terricoli, tutte estinte all’arrivo dei primi europei. Un mix di esplosione demografica ed eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali, cambiamenti climatici e l’ossessione per i Moai e la loro costruzione avrebbero quindi generato un circolo vizioso, che avrebbe portato un po’ alla volta all’estinzione della fauna locale, alla scomparsa di alberi con cui costruire barche da pesca, all’erosione del suolo e alla conseguente riduzione delle capacità agricole.

Una storia scritta nella pietra

Il punto di partenza delle ricerche di Lipo e dei colleghi dell’Università di Bimghamton è che i cambiamenti che hanno interessato l’ambiente dell’isola di Pasqua nell’arco dell’ultimo millennio – innegabili – non devono necessariamente essere stati causa di un collasso nella civiltà dell’isola. È dimostrato, ad esempio, che intorno al 1500 d.C. è avvenuto un cambiamento nell’intensità della el Niño-Oscillazione Meridionale, il fenomeno climatico legato all’alternanza dei periodi di el Niño e la Niña. Le condizioni climatiche sull’isola di Pasqua sono diventate di conseguenza più aride, e questo ha certamente influito sulla flora locale.

Non è detto però che questi cambiamenti ambientali abbiano necessariamente portato al collasso di una civiltà. In uno studio del 2021, Lipo e colleghi avevano proposto un nuovo metodo statistico per valutare come fosse cambiata nei secoli la dimensione della popolazione che abitava l’isola di Pasqua, a partire dalle analisi del radiocabonio e dai dati paleoarcheologici disponibili. Uno studio piuttosto tecnico, che comunque sembrava indicare che la popolazione dell’isola fosse aumentata, lentamente e costantemente, dall’arrivo dei primi colonizzatori fino all’incontro con gli esploratori europei. La scomparsa degli alberi ad alto fusto (soprattutto le palme, che si sospettava rappresentassero una fonte di cibo essenziale per gli abitanti dell’isola) sarebbe quindi stata causata unicamente da fenomeni climatici e naturali, e non avrebbe prodotto un’erosione catastrofica del suolo, anche grazie all’adozione di un nuovo metodo di “pacciamatura litica” (l’utilizzo di sassi di varie dimensioni per proteggere e fertilizzare il terreno coltivato) che avrebbe migliorato notevolmente le loro capacità agricole.

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Willem Dafoe è il nuovo Direttore artistico del settore Teatro della Biennale di Venezia per il biennio 2025-2026. La nomina è stata deliberata dal Consiglio di Amministrazione della Biennale presieduto da Pietrangelo Buttafuoco.

Dafoe parla italiano ha la doppia cittadinanza italiana e statunitense, proprio come sua moglie Giada Colagrande. Si sono sposati dal 2005 e vivono tra Roma, New York e Los Angeles.

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Geometrie Straordinarie - Fondazione Marcello Morandini

@culture

“Geometrie Straordinarie rappresenta un’importante celebrazione dell’arte geometrica contemporanea.

Dieci artisti di rilievo internazionale, ciascuno con il proprio linguaggio visivo distintivo, contribuiscono a un dialogo affascinante sulle forme geometriche e sulla loro capacità di trasformare la percezione artistica."

Consigliata se passate da Varese

https://www.fondazionemarcellomorandini.com/fondazione-marcello-morandini-mostre/geometrie-straordinarie/

#arte #concretismo #costruttivismo #geometria

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Mario Bardelli espone a Ceriana (IM), Palazzo Roverizio, da sabato 29 giugno 2004 a lunedì 29 luglio 2024. Vernissage: sabato 20 luglio 2024 dalle ore 16.

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Gli smartphone sono una presenza invadente ai concerti ormai da un decennio. Già nel 2013, durante un’esibizione a Toronto in occasione del trentesimo anniversario del suo primo album, la cantante Cyndi Lauper chiese al pubblico di evitare di fare foto e video: finì per strappare via lo smartphone dalle mani di un membro del pubblico che continuava a puntarglielo addosso, e glielo restituì poi alla fine del concerto.

Non è un fenomeno che riguarda tutti i concerti. In molti contesti ormai da alcuni anni si è consolidata una sorta di etichetta, che suggerisce di filmare al massimo qualche decina di secondo di concerti ogni tot canzoni, in modo da poter conservare dei ricordi – da pubblicare anche eventualmente sui social – senza limitare troppo a lungo la visuale di chi sta dietro. Può capitare di finire alle spalle della persona sbagliata, ma la maggior parte delle volte la presenza degli smartphone è sopportabile. Nel caso di concerti di cantanti e band più alla moda, e soprattutto più popolari tra i giovani, oppure dotati di una base di fan particolarmente ossessiva, le cose cambiano.

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Anyone else love TTRPG history?

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I sistemi più recenti di traduzione automatica delle voci sono stati resi possibili dai rapidi miglioramenti nel campo dell’intelligenza artificiale e in particolare dei processi di machine learning, cioè le attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Sono di conseguenza sistemi che funzionano molto bene con le cosiddette lingue ad alta disponibilità di risorse, come l’inglese ma anche l’italiano, di cui esistono grandi quantità di dati.

Senza associarla direttamente alla diffusione dei sistemi di traduzione e doppiaggio tramite software di intelligenza artificiale, l’Atlantic ha segnalato una recente contrazione nel numero di persone che studiano lingue straniere in diversi paesi occidentali. Negli Stati Uniti sono diminuite del 29,3 per cento dal 2009 al 2021. In Australia la quantità di studenti delle superiori che studiavano una lingua straniera nel 2021 è stata la più bassa di sempre (8,6 per cento). E in Corea del Sud e Nuova Zelanda le università stanno chiudendo i dipartimenti di francese, tedesco e italiano. Anche la conoscenza dell’inglese è diminuita tra i giovani, secondo un rapporto di EF Education First, una società internazionale che organizza corsi di lingua inglese e scambi culturali in tutto il mondo.

Uno dei rischi principali nella prospettiva di un mondo in cui si usano le lingue straniere senza studiarle è considerarle tutte equivalenti: che è un modo molto riduttivo di intenderle. Oltre un secolo fa, contribuendo a definire il concetto moderno di relatività linguistica, linguisti come Wilhelm von Humboldt prima e Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf poi teorizzarono che la lingua non è un mezzo di trasmissione del pensiero, ma un modo di interpretare la realtà stessa. Imparare una nuova lingua equivale, sotto molti aspetti, ad apprendere un modo nuovo di vedere il mondo e di pensare.

L'articolo dell'Atlantic con paywall o senza paywall.

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Reek, reek, it rhymes with freak...

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Un posto vicino ad Assange, Snowden e Manning: l’opera pro libertà d’espressione cerca fondi

#AnythingToSay? “Qualcosa da dire?” chiedono Julian Assange, Chelsea Manning ed Edward Snowden.
La scultura itinerante di Davide #Dormino, che ha già toccato le piazze di numerose città del mondo, da Berlino a Sydney passando per Londra, è pronta a un tour per l’Italia all’insegna della libertà d’espressione.

@culture

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/27/un-posto-vicino-ad-assange-snowden-e-manning-lopera-pro-liberta-despressione-cerca-fondi/7493316/

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Zdzisław Beksiński

@culture

Zdzislaw Beksinski è stato un artista polacco noto soprattutto per le sue immagini surreali e distopiche. I suoi dipinti, fotografie e stampe raffiguravano macabri spazi e figure ultraterrene. "Desidero dipingere come se stessi fotografando dei sogni" [...]

#arte #surrealismo #pittura #fotografia #sogni

https://arteinbreve.it/zdzislaw-beksinski-biografia-stile-e-opere-principali/

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Svalutata, vilipesa, studiata poco e male, la geografia non se la passa bene, proprio oggi che ne avremmo più bisogno. La sua crisi, frutto anche di riforme scolastiche sbagliate o mancate, coincide con il successo della geopolitica, che imperversa in tv, sui giornali, nel dibattito pubblico. E questa non è una buona notizia.

Qualche settimana fa entro in una classe, una quarta mi sembra (insegno filosofia e storia in un liceo scientifico), a fare supplenza, chiedendomi come sempre e chiedendo agli studenti se il buco gli serva per ripassare – una verifica, un’interrogazione di massa – oppure se sta a me inventarmi un’alternativa al completo cazzeggio o alla completa noia. Non lo so, prof, mi rispondono, possiamo continuare? – metà della classe è fuori; l’altra metà in aula.

Stanno giocando, alla lavagna elettronica collegata alla rete, a Geoguessr.

Io non ho idea di cosa sia, me lo spiegano: è un gioco per browser il cui obiettivo è indovinare, a partire da pochi elementi, dove si trovi il luogo mostrato da un’immagine di Google Street View fornita randomicamente dall’algoritmo”.

Le scritte che possono dare degli indizi troppo facili – le indicazioni stradali, le bandiere – sono spesso blurrate.

Si fa presto a entrare in fissa per Geoguessr, se si ha un minimo di nerditudine o ci si ingarella facile per le gare a tempo. Per esempio: uno studente esperto di alberi, butta lì Norvegia o Svezia se scorge conifere che – secondo lui – è probabile che crescano nei paesi scandinavi; molti ovviamente cercano di decrittare le lingue che si vedono nelle pubblicità o sulle insegne dei negozi, anche se, quando in inglese, non sono poi così utili per individuare se quello nella foto è il Canada, il Regno Unito, la Nuova Zelanda. Io ne ho tentate quattro, cinque; un paio completamente toppate, un paio giuste, una mi sono avvicinato. Loro tutti non se la cavavano affatto male.

Questa session di Geoguessr è stata un’importante eccezione alla regola. La regola è che la geografia, in ogni sua forma, non esiste quasi più nella scuola italiana.

Quando prendo una classe dall’inizio del triennio, una delle prime attività che propongo in classe è quella di segnare nomi di nazioni e di capitali su una cartina muta dell’Europa: sarebbe abbastanza velleitario altrimenti introdurre basso medioevo al suo termine o fine dei poteri universali (Chiesa, Impero) o la nascita degli stati nazionali, senza conoscere nemmeno posizioni, dimensioni, confini degli stati attuali.

Spesso questo esercizio crea il panico. La misconoscenza geografica è trasversale; anche quelli bravi hanno lacune immense. La ex Jugoslavia può essere un grande buco nero, l’est europeo postsovietico, nonostante due anni di guerra russo-ucraina, anche peggio. Dove è la Moldavia? Quale è la capitale? Dove il Kosovo? E la capitale del Montenegro? Ma questa non è la Polonia? Non ho capito, Slovacchia o Slovenia? Che cos’è, il Liechtenstein? Ce ne sono certo almeno due-tre a classe che, al contrario, sono preparati come per un quiz da Trivial su tutto, capitali del mondo, bandiere, persino sull’Africa interna o sul Sud-est asiatico. Ma la maggior parte degli altri confessano la nuda realtà scolastica: prof, geografia non l’abbiamo fatta.

Non l’hanno fatta. Alle superiori la geografia non è, nei fatti, una materia di studio, al massimo è una curiosità per i giochi online. Le ore di geografia in molti indirizzi superiori di secondo grado sono zero. Sì, è vero, resta, come geneticamente modificata, una materia nuova che da qualche anno fa parte del curriculum formativo di molti licei, che si chiama geostoria, una disciplina evidentemente senza nessuno statuto, ma quanto ha a che fare con lo studio della geografia? Alle superiori di primo grado, le ore di geostoria si perdono nelle ore di lettere, lasciate all’autonoma programmazione dei docenti. E se chiedete agli studenti vi diranno che quando fanno geostoria tolgono il geo- e fanno solo storia, sia perché spesso i docenti non sono preparati, sia perché spesso anche per fare tutta storia, da homo abilis al tardoantico, tre ore settimanali sono poche. (Alla primaria le ore di geografia sono due, quanto quelle di religione).

Come è accaduto questo disastro? L’ultimo funesto macigno si è scagliato sulla scuola italiana tredici anni fa: l’entrata in vigore della riforma Gelmini. Allora uscì un libro che era una raccolta di riflessioni di geografi, che si potrebbe ripubblicare oggi senza nemmeno una rilettura di bozze. A scuola senza geografia?. Lo editava Carocci e lo curava Gino De Vecchis, che era ordinario di Geografia alla Sapienza di Roma e presidente dell’Aiig, l’Associazione italiana insegnanti di geografia.

Il testo era un bilancio allarmato di quello che era accaduto – almeno da fine Novecento (leggi: riforme di Luigi Berlinguer) – e stava accadendo all’insegnamento della geografia a scuola: alle mancate, contorte, sbagliate riforme era seguita l’apocalisse, la disastrosa controriforma Gelmini, che aveva eliminato la geografia anche da quegli indirizzi tecnici dove c’era una tradizione consolidata (il nautico, l’agrario, ambiente e territorio) e aveva introdotto questo ircocervo della geostoria. I geografi a raccolta mostravano più di una perplessità, mantenendo forse per galateo accademico un beneficio del dubbio, che però si sarebbe dimostrato assolutamente malriposto, tenendo anche conto che nei professionali e nella maggior parte dei tecnici, nemmeno la carità di un insegnamento di geostoria veniva elargita!

... (continua a leggere)

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Il Museo degli altri: dalle acquisizioni coloniali alle mostre cosmopolite

In «The Museum of Other People: From Colonial Acquisitions to Cosmopolitan Exhibitions», Adam Kuper investiga la storia dei musei antropologici e considera questioni di colonialismo, razza e appropriazione culturale attorno ai manufatti che custodiscono. Mentre queste istituzioni affrontano un momento di resa dei conti globale, Kuper offre un libro equilibrato e ricco di sfumature sul ruolo storico e in evoluzione dei musei

«Oggi è in atto un cambiamento generazionale, in particolare nel modo in cui vengono percepiti i musei europei e statunitensi»

https://blogs.lse.ac.uk/impactofsocialsciences/2023/12/06/the-museum-of-other-people-from-colonial-acquisitions-to-cosmopolitan-exhibitions-review/

@culture

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Siamo stati alla mostra su J.R.R. Tolkien alla Galleria Nazionale di Roma. E no, non ci ha convinto

@culture

Se questo doveva essere il biglietto da visita di una nuova linea culturale, meglio correre subito in tipografia per una ristampa dei layout.

https://www.wired.it/article/tolkien-mostra-roma-2023-galleria-nazionale-date-recensione/

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Gli archeologi scoprono una lingua antica precedentemente sconosciuta

@culture

La scoperta aiuta a rivelare come un impero perduto da tempo abbia utilizzato il multiculturalismo per raggiungere la stabilità politica

La ricerca archeologica in Medio Oriente sta rivelando come un’antica civiltà da tempo dimenticata utilizzasse una linguistica precedentemente sconosciuta per promuovere il multiculturalismo e la stabilità politica.

Le scoperte rivoluzionarie stanno anche gettando nuova luce su come funzionavano i primi imperi.

Gli scavi in ​​corso in Turchia – tra le rovine dell’antica capitale dell’impero ittita – stanno fornendo prove notevoli del fatto che il servizio civile imperiale comprendeva interi dipartimenti interamente o parzialmente dedicati alla ricerca sulle religioni dei popoli soggetti.

https://www.independent.co.uk/news/science/archaeology/ancient-language-discovered-turkey-hattusa-b2448252.html

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Accademia della Crusca. La lingua italiana va a gonfie vele sulla barca di Pietro

Un convegno della #Crusca ha studiato la diffusione della lingua italiana nel mondo in rapporto alla Chiesa cattolica, dal Cantico di frate Sole alle encicliche di papa Francesco

https://www.avvenire.it/agora/pagine/l-italiano-e-la-chiesa-cattolica-accademia-crusca-dal-cantico-di-frate-sole-alle-encicliche-di-papa-francesco
@culture

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La "lettera di reclamo più antica del mondo" ha circa 4.000 anni: ma a chi era rivolta?

@culture

“Ti infliggerò dolore!" è solo una delle minacce che alcuni adirati clienti rivolsero a Ea nāṣir, un losco mercante di rame che operava in Mesopotamia circa 4.000 anni fa.

Circa 3.770 anni fa, un commerciante scontento di nome Nanni si lamentò per una transazione andata male, esprimendo le sue concitate rimostranze a un mercante, un babilonese di nome Ea-nāṣir.

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Archeologia. Papiri di Ercolano, prima parola decifrata dall'intelligenza artificiale

@culture

Sono passati quasi 2.000 anni dall’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse le città di Pompei ed Ercolano. Due millenni dall’ultima volta in cui i papiri romani sono stati letti senza il rischio di danneggiarli. Il materiale vulcanico li ha carbonizzati, conservandoli ma rendendoli troppo fragili da srotolare. Dopo anni di studi e tentativi, per la prima volta un algoritmo di intelligenza artificiale permette di individuare una parola in uno dei papiri di Ercolano: “porpora”, scritta in greco antico (ΠΟΡΦΥΡΑϹ).

@filologia

https://www.avvenire.it/agora/pagine/intelligenza-artificiale-decifra-i-papiri-di-ercolano

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Trovano un manoscritto dell’Ottocento. Seguono le indicazioni della mappa e trovano i resti di un castello medievale, una misteriosa chiave e vestigia romane

https://www.stilearte.it/trovano-un-manoscritto-dellottocento-gli-archeologi-seguono-le-indicazioni-della-mappa-e-trovano-i-resti-di-un-castello-medievale-una-misteriosa-chiave-e-vestigia-romane/

Un manoscritto con un accurato disegni, redatto da una signora dell’Ottocento, documentavano la presunta posizione di un castello scomparso. Seguendo quelle indicazioni – come fosse una mappa del tesoro – gli archeologi hanno condotto accurati scavi, scoprendo le fondamenta del maniero, una misteriosa chiave pre-rinascimentale e, sotto tutto, vestigia di una fortificazione romana.

@culture

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cross-posted from: https://hexbear.net/post/798651

Interesting article. Bayard Rustin was also an anti-communist but considered himself a socialist. He was often lumped in with "the Establishment." He did work with MLK, Jr., who himself worked with communists, but he was considered to the right of MLK. Still, he did leave a legacy and was considered good a politicking and getting what he and his constituency wanted, from what I understand.

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Una volta a rischio di scomparire, lo studio italiano corre a tutto gas grazie ai finanziamenti pubblici su larga scala e all'arrivo di piattaforme come Netflix e Amazon. Roland Emmerich, Angelina Jolie, Luca Guadagnino e Nanni Moretti sono venuti a Roma per girare i loro nuovi progetti.

La storia di Cinecittà è un contrasto di luci e ombre. Nel suo periodo di massimo splendore, 'Ben-Hur', 'Quo Vadis' e 'Cleopatra' furono girati lì, ma anche innumerevoli epiche storiche a buon mercato, i cosiddetti sandaloni. C'erano molti film classici da Visconti e Da Sica, ma anche film patriottici sulla campagna etiope. Estremi si incontrano a Cinecittà: Nanni Moretti ha girato qui parte del recente 'Il sol dell'avvenire', anni dopo aver ricostruito la Cappella Sistina per 'Habemus Papam'.

[Articolo in inglese.]

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Qual è la lingua più antica del mondo? Infuria il dibattito su quali lingue possano affermare di avere l’origine più antica

@culture

Queste lingue e quelle morte che non vengono più parlate intrecciano millenni di interazioni umane. Ciò significa che il compito di determinare la lingua più antica del mondo è più di una curiosità linguistica. Ad esempio, per decifrare le iscrizioni su tavolette d’argilla o tracciare l’evoluzione delle lingue viventi, i linguisti devono confrontarsi con questioni che vanno oltre la lingua. In tal modo, la loro ricerca rivela alcuni segreti delle antiche civiltà e innesca persino dibattiti che fondono scienza e cultura.

@filologia

https://www.scientificamerican.com/article/whats-the-worlds-oldest-language/

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Lonato del Garda ospita una magica retrospettiva su Mario Giacomelli

@culture

La Rocca visconteo veneta di Lonato del Garda, in provincia di Brescia, ospita una grande mostra dedicata a Mario Giacomelli, uno dei maggiori interpreti della fotografia italiana del Novecento.

Nella suggestiva cornice della sala del Capitano della Rocca sono esposte 81 fotografie appartenenti al Comune.

#fotografia #cultura

https://www.themammothreflex.com/grandi-fotografi/2023/08/24/mario-giacomelli-mostra-lonato-del-garda/?amp=1

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